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Pandemia o pandemonio?

Quanti di noi ancora a inizio febbraio hanno preso l’avvento del Coronavirus come una semplice influenza, forse solo un po’ più virulenta? Io per primo, lo ammetto. Siamo a maggio e questa “influenza” ha creato la più grave crisi mondiale di sempre, forse peggiore di quella scatenata dall’ultimo conflitto mondiale.

Chi poteva immaginarlo? Di certo non noi del “popolino”, più o meno informato e previdente. Amici medici, e neppure medici condotti ma specialisti, solo pochi giorni prima che si scatenasse il pandemonio, mi dicevano di non allarmarsi, perché in fondo i morti per i normali malanni di stagione erano anche di più.

Qualcuno, però, un po’ di visione di più lungo termine poteva e doveva avercela. Per esempio, chi il 31 gennaio firmò l’emergenza sanitaria ma, allo stesso tempo, incitava tutti noi a continuare con le normali abitudini, ristoranti e attività lavorative comprese.

La pandemia si è sviluppata, prima di tutto, per la superficialità di chi dovrebbe guidare e salvaguardare la nostra vita di tutti i giorni. Attenzione: non ne faccio una questione politica, né di destra né di sinistra, anche perché si tratta di una considerazione che vale a livello mondiale. Sono davvero pochi coloro che si salvano da questo giudizio e hanno saputo gestire la situazione con saggezza, determinazione e efficienza.

 

Ora due considerazioni. La prima è che la ripartenza è necessaria, ora e subito. Il motivo è semplice: il contagio zero non lo raggiungeremo per molti mesi, forse anni, ovvero fintanto che non ci saranno vaccino e cura. Impensabile, quindi, tenere spenti i motori fino a quel momento, a meno di non voler morire letteralmente di fame. Dobbiamo quindi convivere col virus fino a data da destinarsi. Dobbiamo farlo nel modo più sicuro possibile, ma dobbiamo farlo. Dobbiamo riprendere prima di tutto la produzione delle numerose attività che tengono in piedi il nostro Paese, con le dovute differenze e scaglionamenti e dobbiamo far riprendere alla gente le proprie abitudini e la vita sociale, anche qui con qualche cambiamento inevitabile.

Vorremo mica essere stati i primi ad entrare in lockdown e gli ultimi ad uscirne? Paesi come l’Olanda, l’Austria e la martoriata Spagna stanno già scaldando i motori e hanno allentato già da qualche giorno le misure restrittive.

La seconda considerazione vuole suggerire (e sperare) in un modo per tamponare (non appianare perché ciò è impossibile) le enormi perdite di aziende grandi e piccole, nazionali e multinazionali: consideriamo agosto come mese lavorativo. Non fermiamo le fabbriche e le produzioni per la solita “pausa estiva”. Facciamo finta di aver fatto la “pausa” in marzo o in aprile.

Di sicuro, come detto, non basterà ad evitare una crisi mondiale di dimensioni inaudite, ma forse aiuterà a non collassare. Insomma, la pandemia non è finita. Cerchiamo almeno di fermare il pandemonio.

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NON CI RESTA CHE… TRASPORTARE

Qualsiasi cosa scriviamo OGGI, giorno di chiusura del nostro giornale, sarà sicuramente anacronistico quando lo leggerete. Il virus si diffonde ad una velocità inaudita e così anche gli interventi, le reazioni, gli atteggiamenti della gente, la comunità internazionale.

Se proviamo a catapultarci col pensiero indietro di un paio di mesi, a quando stavamo approntando un 2020 ricco di progetti, eventi, fiere e iniziativa di vario genere, sembra di parlare di un secolo fa. OGGI – e ribadisco OGGI che vi scrivo – le nostre vite sono cambiate, per forza di cose. Non sappiamo – ad OGGI – per quanto tempo, ma sicuramente molte cose non saranno più come prima. Nel bene e nel male.

Questo virus ha scatenato l’inferno in tutto il mondo, ma sono certo che ha anche scatenato le coscienze e la creatività di molti. Se da un lato, grazie a Dio, le Istituzioni stanno promulgando leggi e decreti per cercare di contrastare un nemico “invisibile” e sconosciuto e i sanitari (che non ringrazieremo mai abbastanza per ciò che stanno facendo) lottano per salvare quante più vite umane possibile, la comunità imprenditoriale, dei professionisti, commercianti e lavoratori in genere sta elaborando modi nuovi per fare economia. Sarà un esercizio utile anche per il futuro, ne sono certo.

Questo virus, poi, ci ha insegnato a fermarci un attimo, a rallentare i ritmi e forse, io spero, a dare importanza ai giusti valori. Ce ne ricorderemo quando sarà tutto finito? Io mi auguro di sì. Dovremo essere tutti pronti, sulla griglia di partenza, quando lo “starter” darà di nuovo il via, quando il male sarà sconfitto e la nostra vita riprenderà a scorrere con i suoi abituali ritmi. Sarebbe bello, però, che le esperienze vissute in queste settimane (o mesi, ancora non si sa), non si cancellino mai dalla nostra memoria. Sarebbe bello che facessimo tesoro delle nostre personalissime riflessioni, dell’immenso altruismo delle tante persone che sono oggi in prima linea, dell’italianità che affolla i nostri balconi e finestre all’appuntamento delle ore 18 di ogni sera.

Non conosciamo – OGGI – la dimensione finale di questa tragedia. Sappiamo solo che – già OGGI -numeri piccolissimi rispetto alle tante calamità e drammi attraversati in passato, stanno sconvolgendo il nostro mondo, senza confini, senza differenze di religione, colore della pelle o credo politico.

OGGI, che non sappiamo cosa accadrà domani, quando ci sarà la fine e come ne uscirà il nostro Pianeta, abbiamo però una certezza: il mondo del trasporto c’è! Il nostro settore, tanto bistrattato e poco considerato, sta garantendo all’Italia e al mondo, che ognuno di noi possa continuare, senza panico, a rifornirsi dei prodotti di cui ha bisogno. Forse – OGGI – qualcuno si accorge di noi. Forse qualcuno in più capisce e comprende l’importanza di chi ogni giorno è sulle strade, virus o non virus, guerra o non guerra, a consegnare le merci.

#IOSTOCOLTRASPORTO è la campagna che, insieme agli amici di Vado e Torno, abbiamo lanciato per testimoniare ed esaltare il lavoro dei professionisti del trasporto. Gli A.D. delle Case costruttrici ci hanno messo la faccia per dire grazie a chi ci consente di continuare a vivere più o meno con le nostre abitudini.

Un altro immenso grazie, va poi all’Ospedale Sacco di Milano, per il quale abbiamo attivato una raccolta fondi che potete trovare tra le pagine di questo giornale.

Siamo un Paese unico. Siamo un settore fantastico. Siamo la forza della società. Non fermiamoci, non fermiamo i nostri pensieri. #ANDRÀTUTTOBENE.

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Se il virus è “social”

Cari lettori di Trasportare Oggi in Europa,

ci eravamo lasciati immaginando e proponendo un 2020 basato sul rinnovo degli schemi valoriali e, invece, ci ritroviamo ad affrontare una crisi dovuta all’epidemia di coronavirus del calibro e paragonabile, per stati emotivi e impatto sulla quotidianità, a quando il Paese era in guerra.
Il confronto può sembrare forte ma è evidente che le nostre abitudini di vita debbano cambiare drasticamente e rapidamente. Non è facile per un popolo occidentale, e in particolare per noi italiani, così abituati alla democrazia che è sinonimo di libertà, anche se in alcuni comportamenti spesso ne abusiamo.

Ma ora il pensiero che voglio condividere riguarda soprattutto lo spirito darwiniano, insito nell’uomo in generale, e molto spiccato tra gli italiani. Mi riferisco alla nostra estrema capacità di adattamento e sfruttamento in senso positivo di tutte le situazioni, anche quelle in principio vissute come negative.

Il primo forte cambiamento a cui siamo sottoposti riguarda la socialità, i contatti tra amici e conoscenti a cui siamo così abituati e che sono parte integrante del nostro modo di essere e vivere. Ecco, la lotta al nemico invisibile rappresentato dal virus ci costringe oggi a rimodulare la maniera in cui lavoriamo e ci confrontiamo, affidandoci completamente agli strumenti tecnologici che ci permettono di essere molto vicini anche se distanti fisicamente.

Una maniera “smart” di lavorare, di sentirci vicini e di continuare la vita quotidiana. Chiaramente all’inizio si avverte la non naturalezza di questi momenti e gesti, bisogna rieducarci ai nuovi canoni di comunicazione, reimparare le regole con cui ci si relaziona: ad esempio, nelle riunioni presenziali spesso si creano brevi micro-discussioni tra piccoli gruppi, cosa assolutamente non compatibile con una call conference, dove chiaramente è necessario che si parli uno alla volta, e dove ogni frase è necessariamente rivolta a tutti e non più ad una persona in particolare.

Soprattutto vorrei condividere una novità che si ritrova in maniera simpatica, ovvero come organizzare le pause caffè: capita che se stai lavorando da casa con la famiglia, e con la moglie anche lei in smart working, ti fermi a preparare il caffè (con la moka…), ti disconnetti un attimo dal lavoro e fai due chiacchiere con lei nel mezzo della mattina, riscoprendo un piacere originale e intenso, non avendo il tempo normalmente nella normalità della vita di ufficio di prendersi queste pause mattutine con la famiglia.

Quando arrivi ad apprezzare dei nuovi momenti grazie al cambiamento, significa che si supera il momento inizialmente impegnativo in cui la nuova situazione è vissuta come coercitiva, obbligata, peggiorativa e riscopri, invece, dei nuovi modi di vivere che apprezzi e che, potenzialmente, possono diventare la nuova normalità.

Sperando che questa crisi si arresti molto rapidamente, è possibile che alcuni di questi nuovi comportamenti, sperimentati obbligatoriamente per fronteggiare la contingenza del momento, rimangano anche nel “dopo virus”, diventando un nuovo paradigma di normalità: ovviamente mi riferisco alla possibilità di lavorare senza confini temporali e spaziali netti ma in maniera fluida e adattativa, potendo anche alternare e mixare momenti di lavoro e famiglia. Credo che questo rappresenti il vero work-life balance, e non una work-life “split” come spesso era identificata nel periodo “ante virus”, che oramai appartiene al passato

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Blog Il Dorsale

Sempre più social, sempre meno carta

Un libro ha la magia di farsi toccare mentre lo si legge. Certi approfondimenti li puoi sottolineare, certe pagine rileggere, senza che gli occhi traballino. Moltissime persone, però, soprattutto giovani amano la lettura a video e perfino sul telefonino. È la trasmutazione umana e sociale del rapporto con la letteratura. Vale anche per i giornali, non solo per i libri. Molte testate sono da anni on line. Ci sono post di influencer che contano più di un grande articolo scritto da uno scrittore pluripremiato. Vale una distinzione però: gli influencer lavorano molto sulla psicologia umana influenzando prodotti e marchi, mentre le opinioni di uno scrittore o di un filosofo, influenzano il modo di pensare e di agire sia sul piano sociale che sul piano politico.

È su questo punto che volevo tentare un’analisi di quanto sta succedendo da qualche anno a questa parte. Personaggi come Steve Bannon, che ha messo pesantemente le mani su queste tecnologie, è riuscito a far vincere un personaggio, sicuramente intelligente, ma del tutto destrutturato politicamente come Donald Trump.
Nel nostro piccolo mondo politico, i “grillini” sono nati dalle tecnologie di Casaleggio, uniti all’intelligenza istrionica di Beppe Grillo. Ora anche il leader della destra, Matteo Salvini, sta organizzandosi con una squadra di trenta persone che quotidianamente tengono rapporti con milioni di follower. Sanno trasmettere alle folle una tale convinzione su punti deboli o per niente strutturati politicamente, che sembrano incantatori più che oratori.
Lo scriveva all’inizio del Novecento anche Gustave Le Bon che ha fatto scuola con il suo libro Psicologia delle folle. Ci sono teorie di alcuni intellettuali tipo il Nobel Peter Handke, che si frantumano contro la profetica intuizione di Le Bon, che come scrive anche Antonio Scurati, firma del Corriere, collega il declino sociale dell’intellettuale all’ascesa di nuovi leader populisti. Sarà dunque interessante vedere la reazione del letterato nell’era dei professionisti dell’influsso mediatico. Una volta c’era la televisione che fungeva da moltiplicatore delle idee degli intellettuali o dei politici. Oggi, pur lasciando alla televisione la funzione di principe dei media, gli utilizzatori dei social (web o digital) in diretta possono sconfessare chi sta parlando in tv, scrivendo attraverso una propria postazione internet o digital contestando il personaggio e facendogli perdere tutto quell’interesse che aveva potuto suscitare ai suoi follower.

Ritornando alle sensazioni emotive che può suscitare un libro, verrebbe da dire che oggi i sentimenti scatenati da una lettura intensa ed immaginaria, cede il passo all’esplosione pulsionale della disinibizione spettacolare, che si trova nella rete. Mi chiedo se la televisione e internet possono mettere in difficoltà l’uomo politico e non solo aiutarlo. Pensiamo ad un declino di un personaggio pubblico, seguito in diretta, con la tecnologia che non perdona i cambiamenti estetici, il modo di parlare, la prontezza dei riflessi nel rispondere ed il tono della voce, unitamente alle altre forme di comunicazione non verbale. I maestri dell’arte oratoria pensata, calibrata, modulata spesso si sciolgono di fronte alla chiacchierata isterica, aggressiva e talvolta volgare di un populista scatenato, convinto che la pancia dei suoi follower sia la porta d’ingresso dei suoi messaggi, confondendola con la mente. Può essere questo uno dei fenomeni socio relazionali e interpersonali più pericolosi di questa epoca.

Ma quanto contano gli influencer, dopo aver visto la fragilità intellettuale dei follower? Gli esperti li giudicano privi di individualità, di idee di saperi propri, di conoscenza misurata e forgiata dopo anni di studi. Non portano né saperi né originalità, non fanno opinione ma si prestano solo a portarla e a girarla. Non sono leader nel campo politico, sono portavoci che usano strumenti diversi, per far sì che le lor parole da popolari diventino populiste. Più elevato il numero dei follower più gli influencer sono obbligati a seguirli. Quale sarà dunque la fine di questi cambiamenti? Attenzione non dobbiamo confondere il fine con la fine.
La psicologia della folla” di Gustave Le Bon. Vintage ma sempre interessante.

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Le Sorelle sono otto, anzi nove

Giancarlo Boschetti, illuminato presidente IVECO della fine del millennio scorso, aveva previsto solo due Case sul mercato. “Ne resteranno solo due“, aveva sentenziato in occasione di una conferenza stampa.

Può darsi che avesse ragione e che, nel lungo periodo, questa profezia si avvererà. D’altronde movimenti, acquisizione e fusioni sono all’ordine del giorno, vere o presunte.
Sta di fatto, però, che, per adesso, le “Sette sorelle” non solo non si ridimensionano, ma aumentano di numero, diventando prima otto e poi addirittura nove.

È noto, infatti, che il marchio Ford è proprietaria di Ford Trucks, la società turca che, già al suo debutto sul palcoscenico mondiale dei veicoli industriali, si è aggiudicata il prestigioso International Truck of The Year 2019 con il suo veicolo di punta (e per ora unico) F-Max. Un fulmine a ciel sereno, potremmo dire, quanto più che se inizialmente sembrava che il brand volesse concentrare le proprie attività nell’area baltica ed est europea, ora ha deciso di entrare in modo prorompente nel mercato dell’Europa Occidentale, cominciando proprio da noi con l’importatore F-Trucks Italia.

D’altro canto, invece, un big player come IVECO, ha annunciato la ormai famosa partnership strategica con NIKOLA, start-up americana dedicata alle tecnologie elettriche e ad idrogeno. Non solo. Nella convention di lancio è apparso fisicamente il veicolo del futuro, il Nikola Tre, trattore 4×2 full electric, che, di fatto, è marchiato Nikola, seppur realizzato sulla piattaforma dell’S-Way, nuovissimo pesante della Casa di Torino.

Dunque 9 brand, anche se molti di essi, fanno alla fine capo ad un unica multinazionale e quindi, tornando “a bomba”, di fatto costituiscono un unicum e riducono il numero totale di aziende.

Si tratta sicuramente di due mercati e di due profili completamente diversi: l’azienda turca evidentemente ha scelto la strategia di intercettare una clientela non premium e ancorata ancora alla propulsione tradizionale, ovvero Diesel, che sicuramente ancora molti anni sarà lo zoccolo duro delle immatricolazioni di truck.
Nikola, di contro, punta decisamente sul futuro, promettendo un camion pesante completamente elettrico già nel 2021 e, addirittura, azzardando alla propulsione ad idrogeno in un tempo non tanto lontano (2023).
Quindi prospect, clientela e tipologia di investimenti molto distanti tra loro. Almeno per ora.

Quale reale sostenibilità (in senso economico più che ambientale) possano avere queste due nuove avventure è difficile a dirsi ora. Siamo abituati a vedere sorgere delle stelle la cui luce si esaurisce in breve tempo. In questo caso, però, ci sono grossi colossi alle spalle che, riteniamo, prima di sbilanciarsi in dichiarazioni tanto avveniristiche quanto importanti, ci avranno riflettuto a lungo.

Ad ogni modo si tratta di un momento decisamente brillante del nostro comparto, dato che sono oltre 40 anni che non si affaccia sul mercato un nuovo competitor e, ora ne abbiamo addirittura due. Un fermento dal punto di vista di prodotto e di compagini sociali che, purtroppo, va in controtendenza con l’andamento del mercato dei veicoli che, come sappiamo, per il segmento pesante, accusa una contrazione del 5 per cento quest’anno e di una ulteriore diminuzione per il 2020.

Quindi meno “ciccia” per tutti e una torta da spartire in più parti. Quali saranno le prossime mosse?

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Speriamo non piova!

Il “Collegato ambientale 2017” – documento istituito dalla legge 221 del 28 dicembre 2015 – contiene La Strategia Energetica Nazionale (SEN), approvata nel 2017, che rappresenta il piano decennale che il Governo italiano ha stilato per anticipare e gestire i cambiamenti in seno al sistema energetico: il documento guarda oltre il limite temporale del 2030 e pone le basi per la creazione di un sistema energetico avanzato e innovativo. La Strategia pone l’accento sulla decarbonizzazione del sistema energetico, tramite un utilizzo ridotto della produzione a carbone. Gli impianti a carbone dovranno quindi essere chiusi entro il 2025. Questo richiede una gestione oculata della produzione da fonti rinnovabili che dovrebbero andarle a sostituire, lo sviluppo infrastrutturale che ne consegue e il riutilizzo di siti che possano trasformarsi in centri per la produzione da fonti rinnovabili.

Nel mercato petrolifero, l’obiettivo è di ridurre il consumo primario di prodotti petroliferi di 13,5 Mtoe al 2030 rispetto ai livelli del 2015. La Strategia prevede un allineamento delle accise di benzina e diesel sulla base dell’impatto ambientale. Il ministro Gen. Sergio Costa, nella prefazione del Catologo, sottolinea come “Molti Paesi, oltre l’Italia, fanno ancora un utilizzo significativo di sussidi ambientalmente dannosi. Per questo sono importanti gli impegni G7 e G20 per la rimozione dei sussidi alle fonti fossili entro il 2025. Non tragga in inganno la discussione tesa a limitare la definizione di sussidi alle fonti fossili a quelli ritenuti inefficienti. Tutti i sussidi alle fonti fossili devono ritenersi economicamente e ambientalmente inefficienti. Senza la loro rimozione diventerà estremamente difficile, se non impossibile, raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati come comunità globale a Parigi e all’ONU.”

Le agevolazioni fiscali definite dannose per l’ambiente sono 75 e il loro valore complessivo, per l’anno 2017, ammonta a 19,29 miliardi di euro. Il valore derivato dalla differenza sulle accise tra gasolio e benzina è di 4,91 miliardi. Il rimborso agli autotrasportatori di parte delle accise vale 1,26 miliardi. Dal 1° gennaio 2003 alle imprese di autotrasporto merci con veicoli di massa superiore alle 7,5 t. viene riconosciuto un rimborso, detraibile anche tramite F24, pari alla differenza tra l’aliquota di 0,403 euro e quella attuale: in pratica 0,214 euro per litro. Il sostegno rappresentato dagli sgravi sulle accise ha il pregio di essere una misura di aiuto consentita dalla Direttiva 2003/96/CE che negli ultimi anni ha supportato senza distinzioni il settore del trasporto sia merci che di persone.

La direttiva, valida per le aziende sia in regime di conto terzi che di conto proprio, si applica per i mezzi di categoria Euro 3 e superiori (le classi precedenti, anche dotati di filtri FAP, sono escluse).

È necessario far convivere le sacrosante ragioni della tutela ambientale – secondo il principio del «chi inquina paga» – con le altrettanto sacrosante ragioni dell’economia delle aziende, spesso costrette a fronteggiare la concorrenza di imprese estere che sopportano minori costi di esercizio.

Sarebbe ingiusto e penalizzante, soprattutto in una fase così delicata per l’economia nazionale, colpire quanti si adeguano alle più recenti direttive europee in materia di emissioni dei veicoli stradali, e che, per di più, operano nella quasi totalità al di fuori dei centri urbani, mettendoli sullo stesso piano di quanti, invece, o preferiscono mantenere in esercizio veicoli obsoleti oppure – operando in conto proprio – sono soggetti al fenomeno del ritorno a vuoto che contribuisce fortemente ad aumentare proprio l’inquinamento urbano.

Il Catalogo Ambientale ha un valore informativo. La sua funzione è quella di offrire al potere politico uno strumento utile alle sue decisioni. Il Decreto Clima, in discussione in Parlamento e diffuso il 18 settembre u.s. in bozza prevede che le spese fiscali dannose per l’ambiente, indicate nel Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi, saranno ridotte “nella misura almeno pari al 10% annuo a partire dal 2020, sino al loro progressivo annullamento entro il 2040″.

L’ambiente è un bene primario per tutti, ma una soluzione che vede la linearità dei tagli è certamente semplicistica, frutto di scarsa memoria trasportistica. Se il buongiorno si vede dal mattino… speriamo non piova!

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LA LUCE IN FONDO AL… TUNNEL

Lo so. Questo spazio non deve e non vuole servire a far politica. Però, quando coloro che dovrebbero essere super partes si schierano nettamente e ingiustificatamente da una parte, allora mi vien voglia di trasgredire a questo dictat.

Ovviamente mi sto riferendo al progetto di collegamento ferroviario Torino-Lione. Al maschile o al femminile non importa… sempre TAV è e sempre di TAV parliamo.

È vergognoso che professionisti di caratura internazionale si prestino alle volontà, peraltro incomprensibili, di un Ministro senza arte né parte. Un Ministro delle Infrastrutture convinto dell’apertura del Traforo del Brennero, solo per citarne una delle sue.

La famigerata analisi costi-benefici del Prof. Ponti è un evidente colabrodo. Prova ne è il fatto che su sei professionisti incaricati di redigere il documento, uno si è rifiutato di firmarlo. Abbastanza pesante come percentuale direi.

Ad ogni modo, in questa pagina non c’è lo spazio per entrare nel merito “micro” del documento, ma vorrei solo sottolineare quelli che, a mio avviso, sono i punti “macro” del problema in sé. Nelle prossime pagine, poi, potrete leggere anche una analisi di Paolo Volta, su uno degli aspetti del documento.

 

Il primo aspetto è quello relativo alle opportunità. Una valutazione avulsa dal mero conto economico e che deve considerare l’ampiezza del traffico merci e di persone a livello Continentale, in questo caso da est ad ovest e viceversa. La chiusura del “buco” comporterebbe inevitabilmente un passaggio a nord delle Alpi del Corridoio 5. Perché i traffici di certo non si fermano a seconda di come si sveglia un Ministro o il Governo di un Paese. Questa considerazione va al di là dello stato di sviluppo del detto Corridoio che, sicuramente, sta subendo rallentamenti su più fronti.

Soffermiamoci ora sullo stato dei lavori. È vero, mancano più di 10 anni al completamento dell’opera, ma vi rendete conto a che punto siamo? Siete mai entrati nel “buco”? Io sì, e ormai già due anni fa. Oggi i lavori di scavo lato Italia (ribadisco: lato Italia!!) sono già finiti e quelli francesi sono quasi al termine (mancherà poi la tratta comune di circa 60 km). Quindi è meglio chiudere un buco quasi ultimato o arrivare alla fine di esso?

Entriamo un pochino più nel merito dell’analisi costi-benefici. Possibile che in una tanto dettagliata analisi, che per quanto riguarda i benefici si basa tra l’altro su stime più o meno oggettive, non consideri i contributi europei? Sono il quaranta per cento degli 8.6 miliardi di costo totale del tunnel di base. Nel documento, però, non ci sono. Inoltre, vengono evidenziate spese per il nostro Paese di 7.6 miliardi, quando invece la spesa massima prevista è di 4.6 miliardi, come previsto dal trattato internazionale. Tutto questo senza considerare la possibilità, quasi certa, che l’Europa aumenti il suo finanziamento al 50%, con un impatto (positivo) enorme sui conti.

Altro aspetto, quello delle penali in caso di rinuncia. 3,8 miliardi tra imprese, Francia e UE. Contro i 3 miliardi previsti (anche nell’analisi) per completare l’opera.

Infine, ma non è un particolare da poco, consideriamo che quest’opera è già stata voluta, approvata e avviata da anni di precedenti governi e accordi internazionali. A partire dal 1991, fino al recente stanziamento di 2,5 miliardi (Finanziaria 2012) che non possono essere spostati su altri lavori. Quindi, per rescindere il trattato internazionale che regola il/la TAV, oltre che un voto parlamentare, servirebbe anche la copertura economica, che sulla base delle analisi del gruppo-Ponti e di quella giuridica, supera i 3.8 miliardi.

 

Non me ne vorrà il mio amico Paolo Volta, ma ricito la frase che leggerete nel suo editoriale: “chi vuole uccidere il proprio cane dichiara che ha la rabbia”.

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E L’ORGOGLIO DOV’E’ FINITO?

L’intervista di Fazio a Macron, fatta all’ingresso dell’Eliseo, è sintomatica di come il numero uno della politica francese consideri gli italiani. Infatti, il modo in cui ha accolto il giornalista, fa parte di quella puzza storica che hanno sotto il naso quasi tutti i francesi (sostenuta dal famoso e volgare intercalare della loro parlata quotidiana, “merde”).
Chi scrive ama la Francia e soprattutto Parigi dove è di casa. Avete visto però tutti dove è stato messo Fazio: fuori dal palazzo o quasi. Seduti sugli sgabelli del bagno con sfondo di porte grigie e una corsia rossa. Potevano incontrarsi in altri mille posti, ma farsi accogliere in quel modo ha fatto di Fazio uno zimbello senza dignità professionale e di Macron un eterno presuntuoso, degno rappresentante dei quello stile arrogante di insolenza relazionale che solo i francesi sanno tenere con gli italiani.

Questo comunque è solamente uno dei sintomi della patologia dell’immagine esterna che il nostro Paese sta subendo da alcuni anni. Prima i sorrisetti beffardi di Merkel e di Sarkozy nei confronti del nostro premier di allora, Berlusconi da Arcore. Capibile per l’allora comportamento “sex oriented” del primo ministro, rappresentante tutto il popolo italiano, ma inaccettabile sul piano della diplomazia internazionale.
Anche in Europa, i parlamentari europei hanno, nei confronti dei colleghi italiani, un atteggiamento sornione e arrogante. Ci pensa poi Di Maio, con le sue gaffe e con le sue presunte affinità politiche con i gilet gialli a gettare benzina sul fuoco. A raddoppiare la dose di scemenze politiche dei 5 Stelle era rientrato dalle ferie anche il piccolo “savonarola” dei pentastellati, Di Giambattista, che si era auto incaricato di insegnare agli italiani come si deve vivere e agli stranieri cosa devono fare per migliorare la loro politica interna ed internazionale. Per fortuna qualcuno gli ha tagliato il filo e comperato un biglietto perché se ne ritorni nel paese da cui era riapprodato in Italia.

Tento di continuare l’analisi della situazione politica italiana, chiedendomi cosa aspetta l’opposizione a rifondarsi per esprimere un’alternativa politica a questi dilettanti allo sbaraglio. Parola riferita soprattutto ai 5Stelle, perché alla Lega va riconosciuto una capacità politica inaspettata e ben accolta da moltissimi italiani. Per fortuna c’è Salvini che sa usare le arti più raffinate della diplomazia per cercare di mettere ordine al sistema della sicurezza interna di questo Paese. Combatte le organizzazioni criminali, le ingiustizie subite da immigrati che da anni vivevano nelle baracche del sud (dove è stata tutti questi anni l’illuminata sinistra?) cerca di farsi valere in Europa, rischiando qualche incriminazione giunta da parte di qualche magistrato che non si ricorda più i principi separativi del potere di Montesquieu (legislativo, esecutivo, giudiziario) a ciascuno dei quali veniva riconosciuta indipendenza.

Gravissima è la situazione economica. Crescita zero, con affermazioni inaccettabili e bugiarde da parte dei vertici che ci governano. O sono incompetenti o sono mascalzoni. Vogliono trascinare questo Paese in una situazione di povertà immeritata ed endemica, non sapendo intervenire riformando la giustizia, scremando il sistema bancario e rilanciare i finanziamenti per le opere pubbliche, che sono la sola leva per la ripresa. Maledetta situazione politica: ad oggi non c’è alternativa democratica. Ma chi ha detto che deve essere democratica? Sarebbe Democrazia il potere assunto dai giudici? Sarebbe Democrazia è il poter assoluto dei burocrati di Stato? Sarebbe Democrazia il modo di gestire le opere pubbliche? Sarebbe Democrazia il modo di gestire l’immigrazione? Sarebbe Democrazia come vengono tutelati i cittadini truffati dalle banche recentemente fallite? Sarebbe Democrazia sopportare i deficit di regioni male amministrate, con livelli di corruzione indescrivibile? Sarebbe Democrazia non mantenere gli accordi previsti da trattati internazionali (TAV) solo per manie di grandezza dei 5 Stelle?

Si sta formando uno scenario politico insopportabile da tutti i cittadini: non c’è futuro per i giovani, le aziende chiudono o si fanno comperare. Un lento ma inesorabile azzeramento dell’identità socio-economica-politica dell’Italia per essere colonizzati da chi? Dall’Europa? Ma di quale Europa stiamo parlando se vogliono distruggerla? Alcuni poveri italiani rincoglioniti pensano che il cambio euro lira sarebbe lo stesso. Nemmeno un euro contro mille lire ci darebbero. Accontentarsi di un terzo, così i risparmi dei cittadini spariranno e saremo costretti a scendere in strada per tentare una rivoluzione a suon di rami di alberi abbattuti dai cicloni anomali contro “armi pesanti” della presunta Democrazia. Meglio andare alle elezioni anticipate al più presto!

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Capire il TAV

L’analisi costi – benefici del TAV Torino Lione voluta dal ministro delle infrastrutture e dei trasporti Danilo Toninelli, affidata a una commissione di sei esperti – tra cui Pierluigi Coppola, che non ha sottoscritto le conclusioni – e presieduta dall’economista Marco Ponti, è stata pubblicata e traccia un bilancio negativo: calcola che i costi dell’opera superano i benefici di sette miliardi di euro previsti nell’ipotesi definita “realistica” (le altre oscillano tra un minimo di 5,7 e un massimo di 8 miliardi). Lo studio considera i costi di investimento (11,5 miliardi) dell’intera tratta e non solo quelli a carico dell’Italia pari a 5,6 miliardi.

L’attenzione dei commentatori e della opinione pubblica si è focalizzata sulla posta che vede tra i costi del progetto i mancati introiti delle accise. Argomento scivoloso che non convince neppure un’ambientalista ed esperta in sistemi di trasporti come Anna Donati, che pure ha sempre criticato il progetto Tav: “Considerare la riduzione delle accise sul carburante come un costo è pericoloso. Dipende da quale obiettivo ci poniamo: dovremmo forse considerare positivo ogni progetto che induce maggiori consumi di carburante, visto che porterebbe nuove entrate allo stato?”.

L’approccio convenzionale dell’analisi costi–benefici e le linee guida comunitarie e nazionali suggeriscono che le tasse siamo escluse dal calcolo, poiché costituiscono un trasferimento dal consumatore alle casse dello stato e non rappresentano risorse consumate. Inoltre, l’adozione un tale concetto porrebbe in discussione l’intera politica ambientale nazionale ed europea per la riduzione delle emissioni.

Foto Marco Alpozzi – LaPresse
12 11 2013 Chiomonte (TO)

Per prevenire il cambiamento climatico, nell’ottobre 2014 i leader UE hanno adottato il Quadro 2030 per il clima e l’energia. Il quadro include l’obiettivo vincolante della riduzione delle emissioni nell’UE di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990. In particolare, la riduzione di emissioni nei settori quali i trasporti, l’agricoltura, gli edifici e i rifiuti deve essere del 30% rispetto al 2005.

L’analisi della commissione Ponti prende in esame i vantaggi ambientali della ferrovia, ma calcola l’impatto della nuova linea Torino-Lione, tra 500mila e 700mila tonnellate di anidride carbonica in meno all’anno rispetto a oggi: appena lo 0,5 per cento delle emissioni che ogni anno produce il sistema nazionale dei trasporti in Italia.

Non ultimi i flussi di traffico. La stima del 2011 che prevede 52 milioni di tonnellate merci, 4,6 milioni di passeggeri di lunga percorrenza e otto milioni di passeggeri regionali al 2059, è stata considerata troppo ottimistica dalla commissione che ha adottato ipotesi più caute basate sull’analisi degli attuali flussi di traffico nazionali ed europei. La stima prevede che il traffico merci complessivo cresca solo di una volta e mezzo all’anno, raggiungendo i 25 milioni di tonnellate all’anno nel 2059, e che quello dei passeggeri si limiti a raddoppiare sulla lunga distanza e a crescere del 25 per cento sulle tratte regionali; valori sostanzialmente dimezzati rispetto alla stima 2011.

La rilevanza del contesto europeo è ancora più significativa considerando che l’export del nostro Paese dal 2008 ad oggi è cresciuto dal 20 al 31 percento del PIL e che vede nel continente europeo il principale mercato di sbocco. Il trasporto delle merci e dei viaggiatori attraverso l’arco alpino e i vincoli strutturali di questi collegamenti rendono sempre più attuale e necessario la costruzione di un sistema ferroviario con caratteristiche tecnologiche europee, considerando l’impatto del trasporto su gomma in un ambiente delicato come quello alpino.

 

E i cugini di Oltralpe? La Francia non ci sta. L’analisi costi-benefici sulla Tav è «straordinariamente di parte». È quanto afferma il Comité Transalpine Lyon-Turin: “Visto dalla Francia, questo rapporto costi benefici facciamo un po’ fatica a prenderlo sul serio. Abbiamo tanti difetti ma quando si nomina una commissione indipendente, si fa in modo di non mettere solo tecnici contrari al progetto – dichiara il delegato generale Comité Lyon-Turin Stéphane Guggino all’Ansa – Nel rapporto, insomma, tutti i parametri favorevoli: impatto su ambiente o traffico, sono minimizzati e quelli sfavorevoli esaltati. Adesso ci prenderemo un po’ di tempo per studiare meglio il rapporto. In Francia si dice chi vuole uccidere il proprio cane dichiara che ha la rabbia”.

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La parola dell’anno

Cari lettori, eccoci al primo appuntamento del 2019. Come gli anni precedenti vi propongo nell’articolo di apertura una parola che sia la sintesi o un’aspettativa dell’anno che parte. È una tradizione che da diversi anni utilizzo anche in famiglia, dove il 31 dicembre scrivo in un’agenda la parola dell’anno che sta per entrare: per informazione, la parola del 2019 per la mia famiglia è equilibrio: con la principessa Diletta arrivata tre mesi fa e un nuovo lavoro iniziato da due mesi, potete immaginare che sarà assolutamente necessario ritrovare un nuovo equilibrio per mettere insieme queste novità con gli stimoli e impegni già esistenti.

Fin qui una parentesi personale. Ma arriviamo quindi a quella che potrebbe essere la parola del 2019 in un senso più allargato ai nostri tempi, alla nostra società. Confesso che non ho impiegato più di qualche secondo per arrivarci, tanto questa è evidente, palpabile e tanto sento questa parola come comune a tutti gli eventi e fatti che stiamo vivendo ogni giorno.

Di pochi minuti fa è il fallimento interno alla Gran Bretagna della negoziazione della Brexit, con il Parlamento britannico che ha respinto in massa la proposta del Primo Ministro gettando quindi tutti nella massima incertezza di come evolverà la situazione: ma poi quale era il contenuto di questa proposta? Qualcuno l’ha capito? Qualche giornale ne ha parlato? A parte il fatto conclamato che questo accordo scontentava tutti, chi saprebbe elencare uno o due elementi di questo accordo? Credo pochi perché questo rispecchia la superficialità del sistema informativo di oggi, dove si sa praticamente qualcosa, diciamo poco, di tutto. In pratica, senza un approfondimento gravoso in termini di tempo, tutti siamo in grado di parlare di ogni argomento, senza però scendere nel dettaglio, e quindi senza capirci molto…ma questo sarebbe un tema a parte cui dedicare un articolo specifico.

Ma torniamo ai temi attuali. Dando uno sguardo oltre oceano, sembra che in termini di incertezza nemmeno gli americani se la passino bene: da quasi un mese è attivo lo shutdown, un termine strano per indicare la paralisi del sistema statale che coinvolge milioni di lavoratori. La causa? Litigi tra partiti politici, soprattutto con oggetto il muro della discordia tra USA e Messico che sta bloccando un Paese intero. Come si risolverà? Da vedere nelle prossime puntate. In Francia, il caos e l’incertezza regnano da molte settimane: la protesta partita dalla piazza contro il Presidente Macron sta diventando qualcosa di più grande, organizzato, forse un nuovo partito politico. Già la Francia ha mandato al potere un personaggio fuori dal sistema partitico classico, ora questo nuovo dei gilets jaunes potrebbe diventare un ennesimo movimento contro il sistema che si propone senza alcuna base culturale per governare il sistema. Ne sappiamo qualcosa.

Rientriamo quindi in Italia: in casa nostra possiamo dire che l’incertezza non sia qualcosa di contingente e momentaneo ma piuttosto sia strutturale e insita nel nostro DNA. Probabilmente dovuta alla nostra creatività, effettivamente è sempre difficile poter fare una previsione stabile sulla nostra situazione. Da noi, oltre all’incertezza politica si aggiunge anche l’incertezza economica: stanno per partire le tanto desiderate leggi inserite nella manovra del popolo e vedremo quindi se riusciranno a trasformare i dati recessivi (ufficiali) nel boom economico (sognato/sperato). In conclusione, sia in casa nostra che all’estero, questo 2019 inizia sotto una grande incertezza. È chiaro ormai che la parola del 2019 è: INCERTEZZA