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Venti d’Oriente

 

E’ stato in occasione del mio secondo viaggio in terra Congolese che ho preso coscienza della crescente potenza economica della Cina sperimentandola in prima persona.
A distanza di un solo anno ho assistito a numerosi cambiamenti e, per deformazione professionale, non ho potuto fare a meno di notare la presenza di un maggior numero di cantieri e di conseguenza di mezzi d’opera…tutto rigorosamente made in China.
La popolazione locale sembra reagire bene alla presenza dei nuovi “bianchi” perché vedono non solo la speranza di un progresso, ma anche segni tangibili quali formazione professionale, occupazione, infrastrutture e costruzione di strade, stadi, palazzi statali. Che sia o meno una nuova forma di colonialismo (non dimentichiamoci delle risorse infinite da sempre oggetto di sfruttamento da parte di Europa ed America) ha almeno avuto il merito di riaccendere i riflettori sull’Africa.

La Cina sta conquistando quasi tutta l’Africa, e non solo. A soli 20 giorni dal rientro africano, eccomi catapultata in una realtà decisamente differente: quella della fiera IAA di Hannover, l’importante manifestazione dedicata ai veicoli industriali e commerciali che ha accolto ben 1.904 espositori provenienti da 46 Paesi e circa 260.000 visitatori. Bisogna riconoscere che l’atmosfera è sempre frizzante e fiduciosa, certamente distante da quella che viviamo nella nostra bella Italia. Direi che rappresenta un buon antidoto al pessimismo ed al piagnisteo cronico. Oltre a ciò riserva sempre molte novità e sorprese.                                                                                

Una di queste è stata proprio la presenza del marchio cinese Dongfeng, per la prima volta espositore. Lo ha fatto presentando la gamma intera dei suoi veicoli ,dai leggeri ai pesanti, con un’attenzione particolare alla nuova ammiraglia “Kinland”( tra l’altro progettata da un’azienda di Moncalieri) con cerimonia di “reveal” annessa. Probabilmente è prematuro pensare che il camion made in China stia sbarcando in Europa Occidentale, ma sicuramente l’esordio di Dongfeng alla più importante manifestazione europea (e una delle più importanti del mondo) dedicate all’autotrasporto è un segnale non trascurabile dell’interesse verso il vecchio continente. Nei primi otto mesi del 2014, in Cina sono stati venduti 527.600 veicoli pesanti, numeri che non siamo più abituati nemmeno ad immaginare.

In poco più di un mese , passando dal continente africano a quello europeo, ho avuto l’impressione di aver vissuto anche un po’ più ad Oriente.                                                                                                                            

Quanto esposto rappresenta solo un piccolo spaccato, frutto di una esperienza personale, che mi ha dato l’opportunità di conoscere ed approfondire alcune dinamiche e di andare oltre il banale pregiudizio legato al made in china. L’immagine che mi si è palesata davanti è il famigerato ed avvincente gioco “Risiko”.      

Con obiettivi molto chiari e definiti, le armate rosse stanno conquistando nuovi continenti e sconfiggendo molti dei nemici storici senza “esplicite” dichiarazioni di guerra.

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Al centro ci siamo noi

 

Tutte le volte in cui mi trovo a diretto contatto con i clienti , mi sforzo di entrare un po’ nel loro mondo e mi stupisco costantemente di quanto sia sfaccettato il settore in cui operiamo; settore che offre continui spunti per analizzare non solo l’economia reale ed il diretto rapporto con il Pil, ma anche il progresso tecnologico ed ancora alcuni fattori psicosociali legati allo stile di vita degli autisti.
L’ultima occasione è stata l’edizione del Traspo Day che si è tenuta a Capua dal 6 al 9 Marzo. Mentre curiosavo tra gli stand dei vari espositori, mi è capitato di prestare attenzione ai commenti dei nostri amici trasportatori che ammiravano i modelli di punta presentati da ciascuna casa costruttrice; prodotti ideati, studiati e realizzati da team di tecnici specializzati che vengono guidati non solo dai mercati, dalle legislazioni ma soprattutto dal cliente stesso. Per questo motivo trovo interessante comprendere le attese dei clienti nei confronti dei nostri veicoli, poiché è proprio dai classici commenti quali ad esempio meno potente , più stabile, più comodo , con consumi elevati, con design superato che nascono prodotti ipertecnologici sostenuti da studi ingegneristici sempre più all’avanguardia e team di ricerca e sviluppo adeguati.

Credo che spesso si sottovaluti la valenza scientifica della progettazione di un veicolo industriale, emblema di elevata innovazione tecnologica, professionalità e competenze . E’ sufficiente pensare al lavoro svolto da interi team di ingegneri e designer dedicati, ai ripetuti test di conformità, all’attenzione ad ogni minimo dettaglio.
Gli ingenti investimenti sulla ricerca e sviluppo non hanno solo un impatto diretto sul benessere degli autisti ma anche sulle legislazioni correnti come ad esempio le normative sulle emissioni. Il peso e la rilevanza che assumono il settore R&S sono senza dubbio indiscutibile, ma nonostante ciò è data sempre poca visibilità ed evidenza al loro operato.
Provate a sfogliare una rivista specializzata oppure a effettuare una ricerca sul web. Quante notizie sono pubblicate sull’importanza della ricerca e quanta (poca) enfasi viene data alle persone responsabili di tale progresso? Quanto spazio invece è riservato ad argomenti quali quote di mercato, fatturati, prestazioni del veicolo, prove di consumo, confronti tra concorrenti, strategie commerciali, di marketing ecc.?  
Non dovremmo invece dimenticare che dietro alla realizzazione della “macchina” c’è il lavoro di grandi uomini professionisti, i quali probabilmente non potranno spiegarci in maniera semplice i tecnicismi, ma potrebbero invece trasferirci il concetto vincente del team working e della perseveranza.

Dopo questo excursus sull’eccellenza dei team R&S proviamo a riflettere ora sulla situazione del parco circolante dei veicoli industriali italiani e sui provvedimenti presi dai governi per promuovere il loro rinnovamento. Io preferisco tornare ad ascoltare i nostri amici autisti che, nonostante tutto , riescono a descrivere ancora “con romanticismo” il loro camion!

 

 

 

 

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Rete delle mie brame…

 

Lo scenario economico che si è profilato negli ultimi anni ci induce a fare delle riflessioni sulla validità di alcuni modelli imprenditoriali esistenti.
Modelli che, prima della crisi, sembravano essere vincenti ed “Invincibili”, ma che oggi forse vengono messi in discussione. Proviamo ad osservare i nostri concessionari di vendita e le evoluzioni che hanno caratterizzato il sistema distributivo del nostro settore di riferimento e proviamo a comprendere cosa è accaduto nei cinque anni della crisi.

 

Negli anni del boom, le case costruttrici hanno richiesto sempre maggiori investimenti e standard più elevati ai dealers. Tali richieste hanno spinto chiaramente i concessionari ad adeguarsi con strutture, organizzazione interna e sistemi metodologici più avanzati.
Il concetto di azienda cosiddetta “padronale” oppure “a conduzione familiare” veniva quasi considerato superato e la cui gestione doveva necessariamente adattarsi a mercati estremamente competitivi e focalizzati su elevati livelli di qualità, standard e di servizio. Per questa ragione il modello da seguire sembrava fosse quello dei grossi gruppi societari non soltanto per il livello elevato di professionalità e managerialità ma soprattutto per le capacità finanziarie e maggiore facilità di accesso al credito.

 

Arriviamo al nocciolo della questione. Se guardiamo il contesto generale del nostro settore e delle nostre reti di concessionari possiamo con certezza affermare che valgono ancora queste regole?
Negli ultimi anni abbiamo assistito alla chiusura di grossi gruppi di dealers; proprio quelli dotati di ingenti capacità finanziarie, strutture e capacità gestionali, ma probabilmente non più in grado di reggere il fardello dei costi fissi causa della scarsa liquidità e redditività.
Come hanno reagito invece i dealers più piccoli? A mio parere hanno reagito maggiormente nonostante il difficile contesto di mercato in cui si sono ritrovati ad operare. Riesce a resistere chi negli anni ha reinvestito il capitale all’interno della propria azienda e non solo in yacht ed auto di lusso. Resistono perché se da un lato è stata percepita l’importanza di investire nell’organizzazione, formazione e nel passaggio generazionale dall’altro lo hanno fatto evitando sprechi e non esponendosi troppo nei confronti delle banche; il tutto ovviamente condito dalla passione, impegno e lungimiranza. In fondo per questi imprenditori “padronali” l’azienda è un po’ come la ”famiglia” da accudire, far crescere e tutelare con ogni forza ed energia.

 

La crisi ancora una volta ci dimostra che non esistono delle regole e condizioni immutabili; ci costringe tutte le volte a riflettere, a ridimensionarci, a pensare a soluzioni alternative ed a riconsiderare modelli ormai obsoleti e bistrattati.

 

 

 

 

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Lezioni

Nelle ultime settimane la stampa, specializzata e non, ha dato enfasi all’episodio del camionista Ion Purice che, con il suo mezzo, ha fatto da scudo e salvato la vita di una bambina di otto anni improvvisando una manovra rischiosa e tempestiva.
Un gesto sicuramente ammirevole ed encomiabile, ma i numerosi rumors da parte dei media e lo stupore connesso spingono a fare delle riflessioni.

Credo che lo stupore generato sia legato non soltanto all’azione di solidarietà ed umanità ma anche al fatto che a compierlo sia stato un camionista (originario dell’est). Questo clamore non è altro che lo specchio della nostra società ed onestamente intristisce non poco.
Intristisce perché emerge il pregiudizio nei confronti della categoria “camionista” e probabilmente della nazionalità di Ion; se non ci fossero alla base dei preconcetti non ci sarebbe stata così tanta “notizia”. Solitamente un camionista viene considerato quasi una sorta di mostro della strada incapace di compiere gesti coraggiosi e spesso accusato di guidare senza rispettare il codice della strada e gli automobilisti.        
Intristisce perché viene considerata eroica un’azione che, come lo stesso Purice ha affermato, avrebbero dovuto compiere tutti. Prestare soccorso a chi è in difficoltà non dovrebbe far parte dell’etica di ciascuno di noi? Il fatto che ci siano dei dubbi a riguardo fa pensare che stiamo perdendo davvero il contatto con la dimensione più umana ed altruista. In effetti è sufficiente pensare ad alcuni incidenti che hanno coinvolto degli automobilisti negli ultimi mesi, i quali si sono dileguati dopo aver investito dei passanti e ciclisti. Per questo motivo la manovra “salvezza” compiuta da Purice viene percepita come qualcosa di eclatante; non siamo più abituati, ogni giorno siamo costretti a confrontarci con realtà fredde, dure e negative che ci portano all’indifferenza, alla paura ed all’autotutela.

Oltre a ciò, c’è chi poi non perde occasione per speculare sulla vicenda, inventandosi fantomatiche azioni di marketing, dimenticando che la bambina in questione è ancora in condizioni gravi. Personalmente mi sento molto vicina al carattere schivo del “nostro” autista, che non ha inseguito la celebrità nemmeno per un momento, che ha minimizzato il suo gesto e si è sinceramente preoccupato della salute della bambina. Farsi guidare dalla coscienza e da un forte senso di responsabilità senza la necessità di sentirsi eroi è il più grande insegnamento che ci lascia questa vicenda. Lezione che ci ha dato un camionista rumeno.