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SE SON ROSE FIORIRANNO

One Belt, One Road” è il progetto voluto da Xi Jinping (abbreviato nell’acronimo “Obor” o Bri) per una Via della Seta in una prospettiva contemporanea, con il focus sulla connettività infrastrutturale e commerciale dell’Asia, dell’Europa e dell’Africa. Si prefigge soprattutto di porre la Cina al centro delle rotte commerciali, ridisegnando di conseguenza gli equilibri economici e geopolitici mondiali.

A che punto siamo? La pandemia ha modificato il progetto iniziale?

I dati sugli investimenti cinesi nei 138 paesi della Belt and road iniziative (China’s Investments in the Belt and Road Initiative (BRI) in 2020 A year of COVID-19 Dr. Christoph Nedopil Director IIGF Green BRI Center Beijing, January 2021) mostrano che gli investimenti complessivi nella BRI nel 2020 sono stati di circa 47 miliardi di dollari. Ciò equivale a un calo del 54% degli investimenti nel 2019 e circa 78 miliardi di dollari in meno rispetto all’anno di punta degli investimenti BRI 2015.

In controtendenza, il settore della logistica ha registrato nel 2020 il 25% di investimenti in più rispetto al 2019 (anche se a livelli complessivamente bassi).

Gli investimenti energetici costituiscono la maggior parte di tutti i grandi volumi di investimenti BRI (gli investimenti energetici costituiscono anche la maggior quantità di accordi): nel 2020 sono stati di circa 20 miliardi di dollari. la maggior parte degli investimenti energetici è andata all’energia idroelettrica (35%), seguita dal carbone (27%) e dal solare (23%).

Una recente ricerca della Boston University in ha sottolineato la forte diminuzione dei prestiti delle policy bank cinesi all’estero: nel 2019 i due principali istituti di Stato, China Development Bank ed Export-Import Bank of China, hanno fatto registrare un calo di circa il 94% rispetto al picco stimato nel 2016 passando da 75 miliardi di dollari a 3,9 miliardi di dollari nel 2019. Il commento del quotidiano britannico Financial Time è stato molto forte” Una riduzione così drastica dei prestiti da parte delle banche cinesi equivale a un terremoto. Se persiste aggraverà un deficit di finanziamento delle infrastrutture che solo in Asia ammonterebbe a 907 miliardi di dollari l’anno, secondo le stime della Banca asiatica di sviluppo. In Africa e in America Latina si prevede che il divario tra ciò che è necessario e ciò che è effettivamente disponibile possa allargarsi ancora”. Paesi come Venezuela e Sri Lanka fanno molta fatica ad onorare i dediti. Un rapporto della società di consulenza Rhodium Group stima che nel 2020 almeno 18 Paesi hanno rinegoziato il loro debito con la Cina, e 12 erano ancora in trattativa con Pechino alla fine di settembre.

Gli investimenti nel settore dei trasporti sono fondamentali per il commercio tra Cina e paesi BRI. Di conseguenza, la Cina ha investito in strade, ferrovie, aviazione, spedizioni logistica in tutto il mondo. Gli investimenti nel settore aereonautico (circa 600 milioni di dollari nel 2020) si sono concentrati principalmente sulla costruzione di aeroporti in Africa. Nel dicembre 2020 è stato firmato un accordo per il primo segmento di 40 km della linea ferroviaria ad alta velocità Cina-Thailandia che collega Bangkok al confine thailandese con il Laos. La Cina sta inoltre costruendo una linea ferroviaria ad alta velocità da 6 miliardi di dollari che collega 142 km tra Jakarta e Bandung in Indonesia. Nel 2020 gli investimenti in infrastrutture stradali sono diminuiti di quasi il 70% a circa 4 miliardi di dollari. il Pakistan è uno dei maggiori destinatari degli investimenti cinesi in infrastrutture portuali, come il porto di Gwadar gestito dalla China Overseas Port Holding Company. Altri investimenti portuali strategici si possono trovare nel Pireo, in Grecia, oppure a Lamu e Mobasa , in Kenya, oltre che a Gibuti.

Il grande progetto di diplomazia infrastrutturale voluto da XI Jinping, tanto importante da essere inserito nella Costituzione del partito Comunista, ha subito una repentina battuta di arresto, anche se nel 2020 la Cina ha già compiuto i primi passi per garantire la sostenibilità dei progetti della BRI: per la prima volta gli investimenti in energia pulita sono stati la maggioranza (57%) degli investimenti cinesi nel settore energetico

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Blog Me ne frego

Il Trasporto è morto

Se prima lo chiamavamo in estrema sintesi “MIT”, ora come dovremo chiamare il Ministero che regola il nostro comparto? “MIMS”? sembra più il nome di un nuovo cartone animato.
Al di là delle battute, però, il cambio in Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile, delinea l’ennesima poca considerazione che le nostre Istituzioni (e forse di conseguenza anche la comunità) ha nei confronti del comparto. Uno schiaffo, anche morale, a coloro che per mesi abbiamo chiamato “eroi”, ovvero i TRASPORTATORI e non i MOBILITANTI!

Contino a giocare con le battute, cercando di sdrammatizzare un problema che, invece, è serio. Serio come la non serietà con la quale il settore è da sempre stato trattato. Sono anni, decenni che ci troviamo in convegni, fiere e workshop a sottolineare come la logistica sia strategica per lo sviluppo di qualsiasi Paese. Ma siamo sempre al punto di partenza. Il Governante di turno ci dà a volte qualche contentino, ma senza posizionare l’Autotrasporto tra le priorità degli interventi.

Ora, è anche vero che noi stessi (operatori dell’informazione specializzata, operatori del settore, associazioni e industria) stiamo battendo da anni sulla necessità di trasformare il trasporto commerciale in un sistema sostenibile. Sì sostenibile, come diciamo sempre, non solo con una accezione ambientale, ma anche economica. E l’economia la fanno le imprese, gli autisti e tutto l’ecosistema che sta intorno al nostro mondo. La fanno gli autotrasportatori. Coloro che hanno bisogno di supporto per supportarci.
Il nuovo Governo è nato con un forte DNA ecologista (nel senso buono e puro del termine) ed è giusto che dia segnali forti in tal senso, come l’aver creato un apposito Ministero. Ma se per fare questo dà un segnale contrastante cancellando dal Ministero di riferimento persino la parola TRASPORTI, allora c’è qualcosa che non va.

Non credo vi sia il bisogno di ricordare al Neo Ministro, così come a chiunque, l’importanza del trasporto e della logistica per il paese e l’apporto fondamentale reso all’economia – dice Alessandro Peron, Segretario FIAP che sulla decisione del cambiamento di denominazione del dicastero ha esternato agli Organo Direttivi della Federazione, alle Imprese associate e ad alcuni colleghi, una evidente perplessità.

L’auspicio è, ovviamente, che ci sbagliamo. Che si vada al di là del nome e che il forte segnale di discontinuità col passato si veda nei contenuti. Chissà, magari una volta tanto riusciamo a fare così tanto clamore da portare il Ministro Giovannini ad un ripensamento. Magari Ministero delle Infrastrutture e del Trasporto Sostenibile potrebbe essere un buon compromesso?

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Blog Porto Franco

ON SALE!

Che fine farà l’industria automobilistica Italia? Ce lo stiamo chiedendo in molti. La nascita di Stellantis, grazie alla fusione tra Fca e il gruppo francese Psa rappresenta una grave sconfitta per l’industria del nostro Paese. Il tessuto imprenditoriale locale si impoverisce ulteriormente, mentre il management del quarto gruppo mondiale dell’auto parla molto francese e poco, pochissimo italiano. In gioco c’è il futuro dell’Italia, un Paese guidato da una classe politica miope, incapace di comprendere le drammatiche conseguenze di un continuo impoverimento dell’industria italiana, sempre meno competitiva nel contesto europeo.

Un impoverimento che il mondo del trasporto consce fin troppo bene. Negli ultimi anni abbiamo assistito all’emigrazione di tante, troppe aziende del settore verso Paesi esteri. L’emergenza sanitaria ha messo in evidenza quanto il settore del trasporto sia economicamente e socialmente fondamentale e strategico per il nostro Paese. Ci siamo illusi che tutti avessero compreso la strategicità di questo settore.

Eppure, il sistema trasportistico italiano è stato abbandonato ancora una volta, prima in Inghilterra quando si sono manifestati i primi effetti della Brexit e poi in Austria, con l’introduzione del divieto di transito notturno per i camion italiani sul Brennero. I nostri autisti sono stati abbandonati, ancora una volta, quando è stato il momento di identificazione le categorie da vaccinare con assoluta priorità. La circolazione delle merci, tra cui generi alimentari, prodotti farmaceutici, gas medicale non è forse un’assoluta priorità per il nostro Paese?

Il mercato dei veicoli industriali, sostenuto da incentivi e moratorie, secondo le stime di UNRAE ha chiuso con una flessione del 13,8%. Un dato apparentemente positivo rispetto a quanto prospettato. Apparentemente perché la moratoria rappresenta a tutti gli effetti un tampone all’emergenza, i veri problemi economici emergeranno nel corso dell’anno. Questo perché, lo ripeto ancora una volta, un settore considerato strategico necessita di interventi governativi strutturali a lungo termine.

SERVE UNA CLASSE POLITICA CAPACE
E PROGETTI STRUTTURALI DI LUNGO PERIODO

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Blog Il Dorsale

LA PROVA DECISIVA

L’insieme dei fattori storici, sociali, politici che stiamo vivendo nel nostro Paese, per taluni aspetti accomuna altre nazioni, ma nell’ambito della singola struttura dei fattori comuni ci sono aspetti molto diversi che rendono, in Italia, la crisi più o meno pericolosa e per taluni particolari versi anche letale. Nel senso economico del termine. Possono morire imprese, categorie di lavoratori, investimenti e progetti futuri, la spensieratezza di un vivere normale, la gioia dei giovani nel poter trovare un lavoro dopo aver studiato per tanti anni. L’unico elemento che può sopravvivere sono i politici di tutte le genìe. I paracaduti previdenziali che hanno sono ad uso esclusivo della loro classe sociale: non conta la preparazione, il livello culturale o l’onestà. Un politico corrotto o corruttore, con avviso di reato o con processi in corso continua a percepire tutti i benefits che solo i politici italiani hanno a disposizione.

Questo è lo scenario dal quale partiamo. Voglio citarvi dei dati demografici, perché saranno questi a darci le proiezioni future di come sarà il nostro Paese. Nel 2019, senza il Covid sono stati drammatici. Nello stesso anno la UE ha registrato 112 morti ogni 100 nati. Nel 2021 la popolazione anche a causa del Covid, calerà sotto i 59 milioni di abitanti e secondo alcune catastrofiche previsioni potrà arretrare sotto i 50, mentre per fine secolo si prevedono 30 milioni di abitanti. Non fanno cenno agli immigrati. In Europa la media dei figli è 1.56 per donna. In Italia è 1.27 (comprese in questo caso le immigrate, altrimenti sarebbe di 1.17). Ci condiziona anche il profilo della popolazione che è in rapido invecchiamento (oggi in Italia ci sono 122 abitanti tra i 70 ei gli 80 anni e 100 abitanti tra 0 e 9 anni. Oggi nel mondo siamo 7.8 miliardi di persone per attestarci a fine secolo a 10.9 miliardi (fonte Corriere Lettura). Chi ci governerà dovrà assolutamente migliorare. Quindi prepariamoci a votare persone preparate. Il lavoro per combattere il Covid (la pandemia finirà quando sarà vaccinato tutto il mondo, come dice Bill Gates) va centralizzato non lasciando poteri alle regioni, altrimenti ognuna fa quello che vuole. I vaccini vanno seguiti molto attentamente, investendo anche su aziende italiane (FIDIA, Zambon,Menarini) con fondi statali a disposizione per la ricerca o jont venture con altre aziende estere. Sempre chi governerà ha queste cose da fare. Deve abbattere il debito pubblico del 25%; la pressione fiscale e la tassazione. Di una % a due numeri. Devono mettere in prigione gli evasori conclamati. Se non c’è posto costruire nuove carceri. Scovare gli addentellati della malavita organizzata nei gangli sociali apparentemente normali, usando anche metodi di repressione innovativa. Abbattere almeno del 50% la corruzione, la disoccupazione e il nero. Ridurre del 50% il tempo di durata dei processi giudiziari. Controllare l’abusivismo edilizio, il degrado delle reti stradali, l’immigrazione clandestina, il commercio di sostanze stupefacenti, il numero dei dipendenti statali per assenteismo e i falsi invalidi, così come i truffatori che percepiscono il reddito di cittadinanza. Deve digitalizzare le scuole e riformare le Università nell’ambito della ricerca e dei concorsi. Deve mettere in atto una politica ambientale rigorosa senza indugi, promuovendo l’uso di carburanti non inquinanti. Non parliamo di come deve gestire l’importo promesso dalla UE chiamato Next Generation. Pochi sanno che solo 80 miliardi sono sussidi a fondo perduto, gli altri sono prestiti da restituire. L’Italia deve dare circa 35/37 miliardi come contributo, in cinque anni, medesimo tempo di arrivo del sostegno economico europeo.

A fare tutto questo che politici abbiamo? Proviamo a fare un’analisi anche bonaria. Fratelli d’Italia, ha una valida leader, purtroppo antieuropeista e senza classe dirigente ed esperienza di lavoro. Lega: partito senza classe dirigente,condotto da un antieuropeista, narcisista e inaffidabile politicamente parlando, vista la pessima esperienza di governo, nella quale non ha saputo risolvere i problemi per continuare a governare. Unici seri e preparati politici leghisti sono: Luca Zaia e Giorgetti. C’è anche il ridicolo: Fontana. PD: un partito in eterno cambiamento, senza leadership e senza progetti futuri. M5: partito con vari leader, tutti da operetta, senza futuro strutturato, destinato a liquefarsi ( salvo una decina di nomi). Come un altro partito storico: Forza Italia. A quest’ultima riconosciamo la moderatezza del leader, giunto oramai alla frutta come capacità di condurre politicamente un partito che doveva essere l’erede dei liberali. Senza Berlusconi rinsavito non c’è futuro. E mi dispiace. Qualche forzista troverà spazio in altri gruppi politici. La causa? Berlusconi non ha saputo costruire una classe dirigente che potesse portare avanti il suo progetto liberale e moderato. Conte: ha lavorato bene con l’Europa. È un neopolitico educato e intelligente ma gli manca la capacità di comandare e di decidere come gestire il Recovery Fund. Si attornia di personaggi eticamente discutibili, non sufficientemente preparati, compresi alcuni ministri paurosamente incompetenti. Gli atri frammenti politici non li considero sia per la legge elettorale in vigore, sia per la pochezza politico culturale ed esperenziale dei leader. Salvo Speranza che ha dato il massimo di quello che poteva in emergenza Covid. Credo che, tra i micro partiti, ci sia un leader un po’ “matto” politicamente parlando, non adatto a stare in Parlamento. Indovinate chi è. Aspetto le elezioni del Presidente della Repubblica puntando su tre persone: Draghi, Casellati, Monti. Andare alle elezioni politiche entro giugno, a mio parere c’è il pericolo che alla pandemia e ai problemi economici delle imprese e alla disoccupazione si aggiunga una campagna elettorale letteralmente impazzita. Non escludo Trumpate, stile Capitol Hill.

Non perdetevi questo libro. “DANTE” di Alessandro Barbero.

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Blog Me ne frego

Pandemia o pandemonio?

Quanti di noi ancora a inizio febbraio hanno preso l’avvento del Coronavirus come una semplice influenza, forse solo un po’ più virulenta? Io per primo, lo ammetto. Siamo a maggio e questa “influenza” ha creato la più grave crisi mondiale di sempre, forse peggiore di quella scatenata dall’ultimo conflitto mondiale.

Chi poteva immaginarlo? Di certo non noi del “popolino”, più o meno informato e previdente. Amici medici, e neppure medici condotti ma specialisti, solo pochi giorni prima che si scatenasse il pandemonio, mi dicevano di non allarmarsi, perché in fondo i morti per i normali malanni di stagione erano anche di più.

Qualcuno, però, un po’ di visione di più lungo termine poteva e doveva avercela. Per esempio, chi il 31 gennaio firmò l’emergenza sanitaria ma, allo stesso tempo, incitava tutti noi a continuare con le normali abitudini, ristoranti e attività lavorative comprese.

La pandemia si è sviluppata, prima di tutto, per la superficialità di chi dovrebbe guidare e salvaguardare la nostra vita di tutti i giorni. Attenzione: non ne faccio una questione politica, né di destra né di sinistra, anche perché si tratta di una considerazione che vale a livello mondiale. Sono davvero pochi coloro che si salvano da questo giudizio e hanno saputo gestire la situazione con saggezza, determinazione e efficienza.

 

Ora due considerazioni. La prima è che la ripartenza è necessaria, ora e subito. Il motivo è semplice: il contagio zero non lo raggiungeremo per molti mesi, forse anni, ovvero fintanto che non ci saranno vaccino e cura. Impensabile, quindi, tenere spenti i motori fino a quel momento, a meno di non voler morire letteralmente di fame. Dobbiamo quindi convivere col virus fino a data da destinarsi. Dobbiamo farlo nel modo più sicuro possibile, ma dobbiamo farlo. Dobbiamo riprendere prima di tutto la produzione delle numerose attività che tengono in piedi il nostro Paese, con le dovute differenze e scaglionamenti e dobbiamo far riprendere alla gente le proprie abitudini e la vita sociale, anche qui con qualche cambiamento inevitabile.

Vorremo mica essere stati i primi ad entrare in lockdown e gli ultimi ad uscirne? Paesi come l’Olanda, l’Austria e la martoriata Spagna stanno già scaldando i motori e hanno allentato già da qualche giorno le misure restrittive.

La seconda considerazione vuole suggerire (e sperare) in un modo per tamponare (non appianare perché ciò è impossibile) le enormi perdite di aziende grandi e piccole, nazionali e multinazionali: consideriamo agosto come mese lavorativo. Non fermiamo le fabbriche e le produzioni per la solita “pausa estiva”. Facciamo finta di aver fatto la “pausa” in marzo o in aprile.

Di sicuro, come detto, non basterà ad evitare una crisi mondiale di dimensioni inaudite, ma forse aiuterà a non collassare. Insomma, la pandemia non è finita. Cerchiamo almeno di fermare il pandemonio.

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Blog Me ne frego

NON CI RESTA CHE… TRASPORTARE

Qualsiasi cosa scriviamo OGGI, giorno di chiusura del nostro giornale, sarà sicuramente anacronistico quando lo leggerete. Il virus si diffonde ad una velocità inaudita e così anche gli interventi, le reazioni, gli atteggiamenti della gente, la comunità internazionale.

Se proviamo a catapultarci col pensiero indietro di un paio di mesi, a quando stavamo approntando un 2020 ricco di progetti, eventi, fiere e iniziativa di vario genere, sembra di parlare di un secolo fa. OGGI – e ribadisco OGGI che vi scrivo – le nostre vite sono cambiate, per forza di cose. Non sappiamo – ad OGGI – per quanto tempo, ma sicuramente molte cose non saranno più come prima. Nel bene e nel male.

Questo virus ha scatenato l’inferno in tutto il mondo, ma sono certo che ha anche scatenato le coscienze e la creatività di molti. Se da un lato, grazie a Dio, le Istituzioni stanno promulgando leggi e decreti per cercare di contrastare un nemico “invisibile” e sconosciuto e i sanitari (che non ringrazieremo mai abbastanza per ciò che stanno facendo) lottano per salvare quante più vite umane possibile, la comunità imprenditoriale, dei professionisti, commercianti e lavoratori in genere sta elaborando modi nuovi per fare economia. Sarà un esercizio utile anche per il futuro, ne sono certo.

Questo virus, poi, ci ha insegnato a fermarci un attimo, a rallentare i ritmi e forse, io spero, a dare importanza ai giusti valori. Ce ne ricorderemo quando sarà tutto finito? Io mi auguro di sì. Dovremo essere tutti pronti, sulla griglia di partenza, quando lo “starter” darà di nuovo il via, quando il male sarà sconfitto e la nostra vita riprenderà a scorrere con i suoi abituali ritmi. Sarebbe bello, però, che le esperienze vissute in queste settimane (o mesi, ancora non si sa), non si cancellino mai dalla nostra memoria. Sarebbe bello che facessimo tesoro delle nostre personalissime riflessioni, dell’immenso altruismo delle tante persone che sono oggi in prima linea, dell’italianità che affolla i nostri balconi e finestre all’appuntamento delle ore 18 di ogni sera.

Non conosciamo – OGGI – la dimensione finale di questa tragedia. Sappiamo solo che – già OGGI -numeri piccolissimi rispetto alle tante calamità e drammi attraversati in passato, stanno sconvolgendo il nostro mondo, senza confini, senza differenze di religione, colore della pelle o credo politico.

OGGI, che non sappiamo cosa accadrà domani, quando ci sarà la fine e come ne uscirà il nostro Pianeta, abbiamo però una certezza: il mondo del trasporto c’è! Il nostro settore, tanto bistrattato e poco considerato, sta garantendo all’Italia e al mondo, che ognuno di noi possa continuare, senza panico, a rifornirsi dei prodotti di cui ha bisogno. Forse – OGGI – qualcuno si accorge di noi. Forse qualcuno in più capisce e comprende l’importanza di chi ogni giorno è sulle strade, virus o non virus, guerra o non guerra, a consegnare le merci.

#IOSTOCOLTRASPORTO è la campagna che, insieme agli amici di Vado e Torno, abbiamo lanciato per testimoniare ed esaltare il lavoro dei professionisti del trasporto. Gli A.D. delle Case costruttrici ci hanno messo la faccia per dire grazie a chi ci consente di continuare a vivere più o meno con le nostre abitudini.

Un altro immenso grazie, va poi all’Ospedale Sacco di Milano, per il quale abbiamo attivato una raccolta fondi che potete trovare tra le pagine di questo giornale.

Siamo un Paese unico. Siamo un settore fantastico. Siamo la forza della società. Non fermiamoci, non fermiamo i nostri pensieri. #ANDRÀTUTTOBENE.

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Blog Non solo TIR

Se il virus è “social”

Cari lettori di Trasportare Oggi in Europa,

ci eravamo lasciati immaginando e proponendo un 2020 basato sul rinnovo degli schemi valoriali e, invece, ci ritroviamo ad affrontare una crisi dovuta all’epidemia di coronavirus del calibro e paragonabile, per stati emotivi e impatto sulla quotidianità, a quando il Paese era in guerra.
Il confronto può sembrare forte ma è evidente che le nostre abitudini di vita debbano cambiare drasticamente e rapidamente. Non è facile per un popolo occidentale, e in particolare per noi italiani, così abituati alla democrazia che è sinonimo di libertà, anche se in alcuni comportamenti spesso ne abusiamo.

Ma ora il pensiero che voglio condividere riguarda soprattutto lo spirito darwiniano, insito nell’uomo in generale, e molto spiccato tra gli italiani. Mi riferisco alla nostra estrema capacità di adattamento e sfruttamento in senso positivo di tutte le situazioni, anche quelle in principio vissute come negative.

Il primo forte cambiamento a cui siamo sottoposti riguarda la socialità, i contatti tra amici e conoscenti a cui siamo così abituati e che sono parte integrante del nostro modo di essere e vivere. Ecco, la lotta al nemico invisibile rappresentato dal virus ci costringe oggi a rimodulare la maniera in cui lavoriamo e ci confrontiamo, affidandoci completamente agli strumenti tecnologici che ci permettono di essere molto vicini anche se distanti fisicamente.

Una maniera “smart” di lavorare, di sentirci vicini e di continuare la vita quotidiana. Chiaramente all’inizio si avverte la non naturalezza di questi momenti e gesti, bisogna rieducarci ai nuovi canoni di comunicazione, reimparare le regole con cui ci si relaziona: ad esempio, nelle riunioni presenziali spesso si creano brevi micro-discussioni tra piccoli gruppi, cosa assolutamente non compatibile con una call conference, dove chiaramente è necessario che si parli uno alla volta, e dove ogni frase è necessariamente rivolta a tutti e non più ad una persona in particolare.

Soprattutto vorrei condividere una novità che si ritrova in maniera simpatica, ovvero come organizzare le pause caffè: capita che se stai lavorando da casa con la famiglia, e con la moglie anche lei in smart working, ti fermi a preparare il caffè (con la moka…), ti disconnetti un attimo dal lavoro e fai due chiacchiere con lei nel mezzo della mattina, riscoprendo un piacere originale e intenso, non avendo il tempo normalmente nella normalità della vita di ufficio di prendersi queste pause mattutine con la famiglia.

Quando arrivi ad apprezzare dei nuovi momenti grazie al cambiamento, significa che si supera il momento inizialmente impegnativo in cui la nuova situazione è vissuta come coercitiva, obbligata, peggiorativa e riscopri, invece, dei nuovi modi di vivere che apprezzi e che, potenzialmente, possono diventare la nuova normalità.

Sperando che questa crisi si arresti molto rapidamente, è possibile che alcuni di questi nuovi comportamenti, sperimentati obbligatoriamente per fronteggiare la contingenza del momento, rimangano anche nel “dopo virus”, diventando un nuovo paradigma di normalità: ovviamente mi riferisco alla possibilità di lavorare senza confini temporali e spaziali netti ma in maniera fluida e adattativa, potendo anche alternare e mixare momenti di lavoro e famiglia. Credo che questo rappresenti il vero work-life balance, e non una work-life “split” come spesso era identificata nel periodo “ante virus”, che oramai appartiene al passato

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Blog Il Dorsale

Sempre più social, sempre meno carta

Un libro ha la magia di farsi toccare mentre lo si legge. Certi approfondimenti li puoi sottolineare, certe pagine rileggere, senza che gli occhi traballino. Moltissime persone, però, soprattutto giovani amano la lettura a video e perfino sul telefonino. È la trasmutazione umana e sociale del rapporto con la letteratura. Vale anche per i giornali, non solo per i libri. Molte testate sono da anni on line. Ci sono post di influencer che contano più di un grande articolo scritto da uno scrittore pluripremiato. Vale una distinzione però: gli influencer lavorano molto sulla psicologia umana influenzando prodotti e marchi, mentre le opinioni di uno scrittore o di un filosofo, influenzano il modo di pensare e di agire sia sul piano sociale che sul piano politico.

È su questo punto che volevo tentare un’analisi di quanto sta succedendo da qualche anno a questa parte. Personaggi come Steve Bannon, che ha messo pesantemente le mani su queste tecnologie, è riuscito a far vincere un personaggio, sicuramente intelligente, ma del tutto destrutturato politicamente come Donald Trump.
Nel nostro piccolo mondo politico, i “grillini” sono nati dalle tecnologie di Casaleggio, uniti all’intelligenza istrionica di Beppe Grillo. Ora anche il leader della destra, Matteo Salvini, sta organizzandosi con una squadra di trenta persone che quotidianamente tengono rapporti con milioni di follower. Sanno trasmettere alle folle una tale convinzione su punti deboli o per niente strutturati politicamente, che sembrano incantatori più che oratori.
Lo scriveva all’inizio del Novecento anche Gustave Le Bon che ha fatto scuola con il suo libro Psicologia delle folle. Ci sono teorie di alcuni intellettuali tipo il Nobel Peter Handke, che si frantumano contro la profetica intuizione di Le Bon, che come scrive anche Antonio Scurati, firma del Corriere, collega il declino sociale dell’intellettuale all’ascesa di nuovi leader populisti. Sarà dunque interessante vedere la reazione del letterato nell’era dei professionisti dell’influsso mediatico. Una volta c’era la televisione che fungeva da moltiplicatore delle idee degli intellettuali o dei politici. Oggi, pur lasciando alla televisione la funzione di principe dei media, gli utilizzatori dei social (web o digital) in diretta possono sconfessare chi sta parlando in tv, scrivendo attraverso una propria postazione internet o digital contestando il personaggio e facendogli perdere tutto quell’interesse che aveva potuto suscitare ai suoi follower.

Ritornando alle sensazioni emotive che può suscitare un libro, verrebbe da dire che oggi i sentimenti scatenati da una lettura intensa ed immaginaria, cede il passo all’esplosione pulsionale della disinibizione spettacolare, che si trova nella rete. Mi chiedo se la televisione e internet possono mettere in difficoltà l’uomo politico e non solo aiutarlo. Pensiamo ad un declino di un personaggio pubblico, seguito in diretta, con la tecnologia che non perdona i cambiamenti estetici, il modo di parlare, la prontezza dei riflessi nel rispondere ed il tono della voce, unitamente alle altre forme di comunicazione non verbale. I maestri dell’arte oratoria pensata, calibrata, modulata spesso si sciolgono di fronte alla chiacchierata isterica, aggressiva e talvolta volgare di un populista scatenato, convinto che la pancia dei suoi follower sia la porta d’ingresso dei suoi messaggi, confondendola con la mente. Può essere questo uno dei fenomeni socio relazionali e interpersonali più pericolosi di questa epoca.

Ma quanto contano gli influencer, dopo aver visto la fragilità intellettuale dei follower? Gli esperti li giudicano privi di individualità, di idee di saperi propri, di conoscenza misurata e forgiata dopo anni di studi. Non portano né saperi né originalità, non fanno opinione ma si prestano solo a portarla e a girarla. Non sono leader nel campo politico, sono portavoci che usano strumenti diversi, per far sì che le lor parole da popolari diventino populiste. Più elevato il numero dei follower più gli influencer sono obbligati a seguirli. Quale sarà dunque la fine di questi cambiamenti? Attenzione non dobbiamo confondere il fine con la fine.
La psicologia della folla” di Gustave Le Bon. Vintage ma sempre interessante.

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Le Sorelle sono otto, anzi nove

Giancarlo Boschetti, illuminato presidente IVECO della fine del millennio scorso, aveva previsto solo due Case sul mercato. “Ne resteranno solo due“, aveva sentenziato in occasione di una conferenza stampa.

Può darsi che avesse ragione e che, nel lungo periodo, questa profezia si avvererà. D’altronde movimenti, acquisizione e fusioni sono all’ordine del giorno, vere o presunte.
Sta di fatto, però, che, per adesso, le “Sette sorelle” non solo non si ridimensionano, ma aumentano di numero, diventando prima otto e poi addirittura nove.

È noto, infatti, che il marchio Ford è proprietaria di Ford Trucks, la società turca che, già al suo debutto sul palcoscenico mondiale dei veicoli industriali, si è aggiudicata il prestigioso International Truck of The Year 2019 con il suo veicolo di punta (e per ora unico) F-Max. Un fulmine a ciel sereno, potremmo dire, quanto più che se inizialmente sembrava che il brand volesse concentrare le proprie attività nell’area baltica ed est europea, ora ha deciso di entrare in modo prorompente nel mercato dell’Europa Occidentale, cominciando proprio da noi con l’importatore F-Trucks Italia.

D’altro canto, invece, un big player come IVECO, ha annunciato la ormai famosa partnership strategica con NIKOLA, start-up americana dedicata alle tecnologie elettriche e ad idrogeno. Non solo. Nella convention di lancio è apparso fisicamente il veicolo del futuro, il Nikola Tre, trattore 4×2 full electric, che, di fatto, è marchiato Nikola, seppur realizzato sulla piattaforma dell’S-Way, nuovissimo pesante della Casa di Torino.

Dunque 9 brand, anche se molti di essi, fanno alla fine capo ad un unica multinazionale e quindi, tornando “a bomba”, di fatto costituiscono un unicum e riducono il numero totale di aziende.

Si tratta sicuramente di due mercati e di due profili completamente diversi: l’azienda turca evidentemente ha scelto la strategia di intercettare una clientela non premium e ancorata ancora alla propulsione tradizionale, ovvero Diesel, che sicuramente ancora molti anni sarà lo zoccolo duro delle immatricolazioni di truck.
Nikola, di contro, punta decisamente sul futuro, promettendo un camion pesante completamente elettrico già nel 2021 e, addirittura, azzardando alla propulsione ad idrogeno in un tempo non tanto lontano (2023).
Quindi prospect, clientela e tipologia di investimenti molto distanti tra loro. Almeno per ora.

Quale reale sostenibilità (in senso economico più che ambientale) possano avere queste due nuove avventure è difficile a dirsi ora. Siamo abituati a vedere sorgere delle stelle la cui luce si esaurisce in breve tempo. In questo caso, però, ci sono grossi colossi alle spalle che, riteniamo, prima di sbilanciarsi in dichiarazioni tanto avveniristiche quanto importanti, ci avranno riflettuto a lungo.

Ad ogni modo si tratta di un momento decisamente brillante del nostro comparto, dato che sono oltre 40 anni che non si affaccia sul mercato un nuovo competitor e, ora ne abbiamo addirittura due. Un fermento dal punto di vista di prodotto e di compagini sociali che, purtroppo, va in controtendenza con l’andamento del mercato dei veicoli che, come sappiamo, per il segmento pesante, accusa una contrazione del 5 per cento quest’anno e di una ulteriore diminuzione per il 2020.

Quindi meno “ciccia” per tutti e una torta da spartire in più parti. Quali saranno le prossime mosse?

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Speriamo non piova!

Il “Collegato ambientale 2017” – documento istituito dalla legge 221 del 28 dicembre 2015 – contiene La Strategia Energetica Nazionale (SEN), approvata nel 2017, che rappresenta il piano decennale che il Governo italiano ha stilato per anticipare e gestire i cambiamenti in seno al sistema energetico: il documento guarda oltre il limite temporale del 2030 e pone le basi per la creazione di un sistema energetico avanzato e innovativo. La Strategia pone l’accento sulla decarbonizzazione del sistema energetico, tramite un utilizzo ridotto della produzione a carbone. Gli impianti a carbone dovranno quindi essere chiusi entro il 2025. Questo richiede una gestione oculata della produzione da fonti rinnovabili che dovrebbero andarle a sostituire, lo sviluppo infrastrutturale che ne consegue e il riutilizzo di siti che possano trasformarsi in centri per la produzione da fonti rinnovabili.

Nel mercato petrolifero, l’obiettivo è di ridurre il consumo primario di prodotti petroliferi di 13,5 Mtoe al 2030 rispetto ai livelli del 2015. La Strategia prevede un allineamento delle accise di benzina e diesel sulla base dell’impatto ambientale. Il ministro Gen. Sergio Costa, nella prefazione del Catologo, sottolinea come “Molti Paesi, oltre l’Italia, fanno ancora un utilizzo significativo di sussidi ambientalmente dannosi. Per questo sono importanti gli impegni G7 e G20 per la rimozione dei sussidi alle fonti fossili entro il 2025. Non tragga in inganno la discussione tesa a limitare la definizione di sussidi alle fonti fossili a quelli ritenuti inefficienti. Tutti i sussidi alle fonti fossili devono ritenersi economicamente e ambientalmente inefficienti. Senza la loro rimozione diventerà estremamente difficile, se non impossibile, raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati come comunità globale a Parigi e all’ONU.”

Le agevolazioni fiscali definite dannose per l’ambiente sono 75 e il loro valore complessivo, per l’anno 2017, ammonta a 19,29 miliardi di euro. Il valore derivato dalla differenza sulle accise tra gasolio e benzina è di 4,91 miliardi. Il rimborso agli autotrasportatori di parte delle accise vale 1,26 miliardi. Dal 1° gennaio 2003 alle imprese di autotrasporto merci con veicoli di massa superiore alle 7,5 t. viene riconosciuto un rimborso, detraibile anche tramite F24, pari alla differenza tra l’aliquota di 0,403 euro e quella attuale: in pratica 0,214 euro per litro. Il sostegno rappresentato dagli sgravi sulle accise ha il pregio di essere una misura di aiuto consentita dalla Direttiva 2003/96/CE che negli ultimi anni ha supportato senza distinzioni il settore del trasporto sia merci che di persone.

La direttiva, valida per le aziende sia in regime di conto terzi che di conto proprio, si applica per i mezzi di categoria Euro 3 e superiori (le classi precedenti, anche dotati di filtri FAP, sono escluse).

È necessario far convivere le sacrosante ragioni della tutela ambientale – secondo il principio del «chi inquina paga» – con le altrettanto sacrosante ragioni dell’economia delle aziende, spesso costrette a fronteggiare la concorrenza di imprese estere che sopportano minori costi di esercizio.

Sarebbe ingiusto e penalizzante, soprattutto in una fase così delicata per l’economia nazionale, colpire quanti si adeguano alle più recenti direttive europee in materia di emissioni dei veicoli stradali, e che, per di più, operano nella quasi totalità al di fuori dei centri urbani, mettendoli sullo stesso piano di quanti, invece, o preferiscono mantenere in esercizio veicoli obsoleti oppure – operando in conto proprio – sono soggetti al fenomeno del ritorno a vuoto che contribuisce fortemente ad aumentare proprio l’inquinamento urbano.

Il Catalogo Ambientale ha un valore informativo. La sua funzione è quella di offrire al potere politico uno strumento utile alle sue decisioni. Il Decreto Clima, in discussione in Parlamento e diffuso il 18 settembre u.s. in bozza prevede che le spese fiscali dannose per l’ambiente, indicate nel Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi, saranno ridotte “nella misura almeno pari al 10% annuo a partire dal 2020, sino al loro progressivo annullamento entro il 2040″.

L’ambiente è un bene primario per tutti, ma una soluzione che vede la linearità dei tagli è certamente semplicistica, frutto di scarsa memoria trasportistica. Se il buongiorno si vede dal mattino… speriamo non piova!