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Blog Non solo TIR

A Tempi Stretti

Per il tema di questo mese prendo spunto da quanto accaduto in Italia in questi giorni di metà novembre. I titoli di prima pagina di tutti i media raccontano di un’apocalisse, di un disastro che ha colpito il nostro Paese, di una sciagura senza precedenti a cui non eravamo preparati. Nessun terremoto, per fortuna, né attacchi Isis, né tantomeno guerre o invasioni. Il problema è che la nostra Nazionale è stata eliminata dalla Svezia e non prenderà parte ai prossimi campionati mondiali di calcio che si svolgeranno l’anno prossimo in Russia. Tutto potevamo accettare, qualsiasi perdita di PIL o aumento di tassazione, ma non questo. Questo proprio no!

 

Al di là di quanto sia importante e vitale per noi il calcio (addirittura qualcuno ha immaginato un problema sociale a seguito di questa eliminazione), è chiaro che questo progetto di Ventura fin dall’inizio non sembrava essere partito sotto i migliori auspici. Pensare che solo dieci anni fa, eravamo noi ad alzare quella meravigliosa coppa sotto il cielo di Berlino: quella era una squadra di campioni, maturi nel fisico e nella testa. Poi, come accade spesso in questi ambiti, si chiude un ciclo e bisogna ricominciarne uno nuovo, ripartendo e ricostruendo le fondamenta. È normale quindi che, andati in pensione i campioni di Berlino, si debba ripartire dai giovani e avviare quel percorso di ricostruzione che, normalmente, richiede del tempo per poter raggiungere nuovamente i risultati eccellenti del ciclo precedente.

Arriviamo quindi al “tempo”, questo strano fattore che è diventato una perla rara o un animale in via di estinzione: nessuno ha tempo, nessuno ha voglia di aspettare, ma tutto deve essere realizzato “qui e ora”.

 

Parlando di tempo, quindi, lascio l’ambito calcistico e mi ricollego a quello lavorativo, del business che viviamo ogni giorno, dove i risultati di lungo periodo non interessano più a nessuno, avendo in questo caso appreso una delle peggiori abitudini americane, ovvero quella di ricercare solo il profitto di breve periodo.

 

Fa un po’ sorridere la frase che si sente sovente negli uffici quando il capo chiede di fare un lavoro ad un collaboratore che gli domanda: “per quando serve?”, e la risposta puntualmente è: “per ieri”.

 

Un simile approccio riguarda i tempi di inserimento e training nel momento in cui si prende una nuova job position in azienda, quello che si definisce “periodo di affiancamento”. Intanto la parola stessa presuppone che ci sia qualcuno al tuo fianco quando assumi una nuova posizione in azienda, idealmente la persona che hai sostituito e che svolgeva il ruolo in precedenza. Oggi l’affiancamento, quando c’è – perché spesso la persona che ha lasciato il posto non è più in azienda, oppure ha un nuovo ruolo a sua volta senza trainer – si misura in ore. Qualche anno fa, invece, tutto era molto diverso.

Ricordo che, quando ho iniziato il lavoro di Zone Manager, esattamente 14 anni fa, il periodo di training è durato un mese, e già era dimezzato rispetto ai miei colleghi che poco prima erano stati formati per un periodo di due mesi. Segno dei tempi che cambiano, e che si accorciano, è il fatto che oggi uno Zone Manager deve essere già operativo dopo una settimana al massimo. È vero che le informazioni circolano molto più rapidamente: internet, il digitale e gli smartphone hanno accelerato il ritmo di tutte le cose e compresso tutti i tempi, ma è altrettanto evidente che alcuni processi, in particolare quelli che interessano tutta l’area comportamentale, richiedono un tempo non comprimibile per essere assimilati, compresi e, quindi, applicati in maniera perfetta.

La fame di risultati immediati è stata maggiormente ampliata da un management ormai basato solo su indicatori di performance, i famosi KPI’s che mettono a confronto numeri, che misurano ma che nulla hanno a che fare con il tempo necessario a cambiare le cose o ad arrivare a determinati risultati. Soprattutto quando un ciclo è terminato ed è necessario ricostruirne uno nuovo. Ad ogni modo, per il calcio abbiamo ora altri quatro anni. Il tempo stavolta c’è, bisogna utilizzarlo bene.

 

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INTERMODALE = SOSTENIBILE

La modalità di trasporto marittima è vitale per l’economia. La recente pubblicazione del “Review of Maritime Transport” dell’UNCTAD, evidenzia come nel 2015 sia stato stabilito il nuovo record del volume complessivo di merci trasportate via mare pari a oltre 10 mld di tonnellate. Complessivamente il trasporto marittimo ha movimentato quasi il 90 % del commercio mondiale e ciò rende le imprese ed i consumatori dipendenti dai beni importati dal resto del mondo.

 

La navigazione, è bene rammentare, è considerata la modalità di trasporto più economica per la movimentazione delle merci a livello mondiale con un conseguente impatto ambientale sempre in crescita. L’associazione ambientalista Nabu sottolinea che le navi in servizio sulle rotte marine utilizzano olio combustibile pesante, ricco di zolfo e metalli pesanti. Per il tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo vige attualmente un limite massimo del 3,5 per cento, 3.500 volte superiore a quello consentito per i combustibili diesel usati dagli autocarri.

L’agenzia europea dell’ambiente (EEA) stima che l’industria dei trasporti navali generi ogni anno circa un miliardo di tonnellate di CO2, destinate a diventare, secondo le previsioni, 1,6 miliardi di tonnellate nel 2050. I dati più recenti dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO) mostrano che, se non si adottano provvedimenti, le emissioni di gas serra prodotte dal trasporto marittimo aumenteranno del 250 % entro il 2050 e arriveranno a rappresentare il 17 % delle emissioni globali.

 

E se volgiamo lo sguardo al cielo? Nel mondo volano 26 mila aerei al giorno. Un fenomeno destinato a crescere con il boom dei voli low-cost. Se nel 2016 hanno volato 3,5 miliardi di persone, nel 2035 il numero di passeggeri arriverà a 7 miliardi. I gas serra prodotti dai motori contribuiscono a determinare il cambiamento del clima e il surriscaldamento del pianeta. Il traffico aereo produce il 2% dell’inquinamento mondiale ed il 13% dei quello europeo. Osservando i dati diffusi dall’Enac si nota come i passeggeri trasportati dai vettori low-cost negli aeroporti italiani siano ormai equivalenti a quelli trasportati dai vettori tradizionali; tendenza presente non solo in Europa ma in tutto il mondo. Negli anni pre-deregulation, le grandi compagnie europee gestivano collegamenti sostenuti da una effettiva domanda. Nella prospettiva low-cost ogni scalo rappresenta di per sé un mercato, con il presupposto che la domanda si concretizzerà in virtù di tariffe molto economiche.

L’Agenzia europea dell’ambiente ha osservato la quantità di CO2 emessa dai vari mezzi di locomozione in rapporto alle persone trasportate e ai chilometri percorsi. Dall’analisi emerge che il mezzo più inquinate per spastare merce o persona da A a B è l’aereo.

La Commissione europea ha stimato che entro il 2050 il trasporto passeggeri crescerà di oltre il 50% e il trasporto merci dell’80% rispetto ai livelli del 2013.

È sempre più stringente la necessità di trasportare persone e merci da un posto all’altro in maniera semplice, sicura ed efficiente; nei documenti ufficiali viene costantemente ribadito che è “necessario creare un sistema di «mobilità» pulito, intelligente e completo, che soddisfi le esigenze di mobilità offrendo un servizio pensato per le necessità degli utenti”.

 

Come si possono gestire le esigenze di un pianeta sempre più “villaggio globale” (nell’eccezione di Marshall McLuhan)? Nel mondo globalizzato di oggi, i consumatori possono acquistare prodotti provenienti da ogni parte del mondo. Il nostro stile di vita è cambiato. Ci aspettiamo di trovare sugli scaffali dei supermercati generi alimentari e generi vari a basso costo e di andare in vacanza a prezzi convenienti tutto l’anno.

L’UE ha stabilito diversi obiettivi per la riduzione degli effetti ambientali del settore dei trasporti europeo, incluse le sue emissioni di gas serra. Gli obiettivi relativi al settore dei trasporti concorrono al fine di ridurre le emissioni di gas serra dell’80-95% entro il 2050. L’automobile ed il veicolo commerciale-industriale sono costantemente additati come untori di manzoniana memoria, ma i traguardi indicati non sono raggiungibili senza il pieno coinvolgimento del trasporto aereo e marittimo: modalità spesso trascurate dal dibattito.

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Blog Il Dorsale

Sempre più difficile

Provando a riflettere sulle diverse situazioni del nostro Paese, non possiamo fare a meno di iniziare con il tema dell’etica sociale. Come si esprimeva Camus “un uomo senza etica è una bestia selvaggia che vaga libera in questo mondo”.
L’Italia penso sia il Paese con la massima concentrazione di bestie selvagge. Pensate agli 80 miliardi di euro di corruzione ed ai 110 miliardi di nero. I principi dell’etica e della morale sono i pilastri sui quali poter riformare uno Stato che ha permesso ai banchieri di turlupinare centinaia di migliaia di risparmiatori per un ammontare di circa 70 miliardi. Vi rendete conto? Parliamo delle Popolari Venete, del MPS e delle quattro famose: Etruria, Ferrara e Co. In più stanno arrivando al pettine i nodi delle varie banche locali, raggruppate sotto l’ombrello del Credito Cooperativo. La vergogna è che la maggior parte dei responsabili non solo è a piede libero ma sono perfino riusciti a trasferire tranquillamente le proprietà dei loro beni ai parenti o a terzi compiacenti. Per il momento nessun giudice ha chiesto la revocatoria o l’azione di responsabilità per gli amministratori. Per finire il quadro generale, parliamo un secondo della commissione di inchiesta parlamentare, presieduta dal “frenatore” democristiano Ferdinando Casini il quale voleva secretare i nomi dei più grandi debitori. Nessuno ha capito perché, ma tutti sanno, che un certo Caltagirone suocero e padre di Azzurra, sua compagna, è nella lista dei grandi debitori di una delle banche protagoniste di questo scandalo nazionale.

Prendiamo ora in considerazione due casi di malagiustizia straniera che vedono coinvolti due personaggi italiani. Cesare Battisti pluriomicida riconosciuto dalla legge, difeso da indescrivibili giudici brasiliani, in barba agli accordi in vigore relativamente all’estradizione. Un caso davvero paradossale è quello del giovane italiano, Fabio Vettorel, il quale si è già fatto 4 mesi di carcere e mentre stava per riassaporare la libertà, sulla soglia del tribunale è stato costretto a ritornare in carcere per un’improvvisa istanza di un altro giudice, che disattendeva la sentenza. Come sia possibile che il nostro ministro degli esteri non si occupi del caso, facendo sentire l’opinione dell’Italia o chiedendo l’immediata estradizione? Credo di sapere il perché: Il nostro ministro degli esteri pensa solo a fare politica personale, per far sopravvivere quell’ombra di partito che lo ha espresso politicamente. Infatti, in questo momento, la politica estera dell’Italia non esiste. Se non ci fosse stato il ministro attuale dell’interno, per Angelino Alfano il fatto dell’immigrazione incontrollata, che ha cambiato le città del nostro Paese, non sarebbe mai esistito. Anche quando Alfano era ministro dell’interno, non aveva preso alcun provvedimento di contenimento dei flussi, nessuna iniziativa di respingimento degli illegali o dei non meritevoli dell’asilo politico. Credo sia sotto gli occhi di tutti, il problema che caratterizzerà la nostra società da oggi in avanti. Migliaia di persone che vagano per le città, senza lavoro ma con tanto di telefonini in mano. Senza pregiudizi, credo che ci sarà un problema grave che diventerà criminalmente molto più strutturato. Una criminalità legata soprattutto allo spaccio di droga (soprattutto nelle zone delle scuole), alla violenza sulle donne, ai furti predatori nelle case delle persone ed alle pretese di avere trattamenti di sostegno da parte dello Stato, senza lavorare. Mentre le persone straniere integrate e che rispettano le regole sono a tutti gli effetti cittadini meritevoli di condividere la realtà sociale che è riservata agli italiani. Per il tema “ius soli” lascio ad ognuno di noi interpretare come meglio crede questa proposta di una parte dei partiti.

Come conclusione, vi chiedo cosa ne pensate dei servizi televisivi che ripetono per più volte le scene di violenza (specialista è la rete televisiva La 7 di Mentana), la quale ci ha propinato per più di una settimana la famosa testata del violento di Ostia, nei confronti di un giornalista televisivo. Per rilassarvi vi consiglio la lettura di un libro di Serena Dandini: Avremo sempre Parigi, Rizzoli.